Al, Greta e la città di Mahagonny
Marzo 2019
Il 15 Marzo scorso c’è stato il #GlobalStrikeForFuture, sciopero mondiale contro il cambiamento climatico, sull’esempio dei #FridaysForFuture di Greta Thunberg.
Come era prevedibile, il web si è diviso tra strenui ambientalisti dell’ultima ora e gli haters più scafati che si chiedono: come è possibile che la protesta di Greta, nemmeno troppo originale, abbia avuto tale risonanza? Quale operazione di marketing c’è dietro questo personaggio? Chi la manipola? Chi ci guadagna?
Nemmeno Al the Alien, il protagonista inventato da Carol Russell per il musical ecologico Al’s Adventures in Wasteland, avrebbe immaginato un evento di tale portata: circa 10 anni fa, quando pensai a questo musical partecipativo per i più piccoli, il problema dell’inquinamento non era ancora centrale in ambito educativo, nelle scuole non c’era la raccolta differenziata né alcuna forma di progetto di educazione ambientale.
Ai tempi giravo lo stivale in cerca di minimo supporto per il progetto ma ricevevo in cambio la solita indifferenza. Oltre a problemi di natura economica (“non ci sono i soldi”) c’erano quelli di recezione di un prodotto musicale “misto”: “in Italia non c’è molta abitudine al musical”, mi rispose un direttore artistico.
In effetti, qual è la tradizione del genere in Italia? È possibile tracciare un confine netto tra opera e musical, o addirittura tra “arte” e “spettacolo”? La “commedia musicale” di Trovajoli, Garinei e Giovannini è ignorata dai manuali di storia della musica occidentale, inoltre l’esempio di questi autori è stato colto più che altro da musicisti afferenti al panorama pop/rock/jazz o quant’altro, mentre chi si è formato col teatro di Mozart, Wagner e Verdi fino a Berio e Kagel in genere si crogiola con l’annoso problema dell’ ”opera oggi” (cfr. mio primo post).
Il teatro musicale nei paesi anglosassoni ha una storia tutta sua, fatta di forme “miste” che giustappongono (raramente “fondono”) recitazione/danza/musica: da Shakespeare al Masque, dalle “semi-opere” di Henry Purcell (solo Dido and Aeneas è interamente musicato) al Music Hall, la Savoy Opera…. il West End, Broadway…
Soprattutto in America il dualismo musica d’arte/d’uso (se e quando sussiste) è molto sfumato: Gershwin e Bernstein trovano il giusto equilibrio tra innovazione e comunicabilità, sperimentazione e gusti del pubblico; in seguito alcuni seguono il solco aggiornando temi e colori (Lloyd Webber, Sondheim), altri giocano abilmente con strutture e cliché musicali (Rent) facendo presa sul pubblico senza cadere per forza in contenuti musicali banali o consunti.
Un lavoro “misto” di importanza storica è The Beggar’s Opera (1728) di John Gay, aspra satira socio-politica nonché parodia del melodramma italiano, riadattato da Brecht e Weill nella celebre Opera da tre soldi (1928).
Prima di comporre Al studiai a fondo un altro lavoro di Brecht e Weill: Ascesa e caduta della città di Mahagonny (1930, dal singspiel del 1927), che in parte risente della concezione brechtiana di “teatro epico” in cui lo spettatore, riconoscendo disattese o capovolte le convenzioni drammaturgico-musicali tramite tecniche di “straniamento”, prende coscienza della degenerazione del sistema capitalistico.
Le ricerche di Weill costituirono per me un riferimento per il riutilizzo (meglio: riciclo) “critico” di materiali convenzionali, così strutturai il musical in una serie di scene chiuse da cui emergessero le contraddizioni della società dei consumi, naturalmente in forma adatta ai piccoli destinatari: dalla plastica nei mari allo scioglimento dei ghiacciai, dalle trivelle petrolifere all’emergenza smog e rifiuti.
Il progetto didattico inoltre prevedeva la partecipazione attiva degli spettatori e la creazione di scene e costumi utilizzando materiali di riciclo.
Dopo anni di “porte in faccia”, finalmente trovai il sostegno dell’Istituto “Orazio Vecchi” di Modena e del direttore Antonio Giacometti che offrì lo spazio per le prove, un team poco a poco sempre più affiatato, giovani cantanti motivati. Il lavoro fu durissimo ma venne ripagato dall’affluenza di pubblico e dalla festosa partecipazione dei bambini e dei ragazzi negli spettacoli che dal 2016 ad oggi si sono succeduti al Teatro Comunale di Carpi, al Teatro Tenda e al Teatro “Pavarotti” di Modena, nonché al Rhodes Arts Complex di Bishop’s Stortford (UK).
Recentemente un’insegnante del Liceo Musicale di Bologna mi ha chiesto, citando Greta Thunberg, cosa facessi io di concreto per l’ambiente. Le ho parlato di Al e di come la marcia di protesta di Tim the Turtle, stanco di mangiare plastica, sembrava davvero anticipare le immagini del #GlobalStrike di questi giorni: “Piotòst che gninta l’é mei piotòst”, come dicono a Bologna;
a proposito, chissà se e quando la “dotta” sarà pronta ad accogliere la navicella di Al e la sua musica…
E il mondo dell’Opera? Cosa è disposto a fare di concreto per il pianeta? Sull’esempio di Al e Greta, non è poi impossibile pensare a un futuro in cui costosissime scene e costumi vengano completamente sostituiti dal riuso creativo, oppure si potrebbe rinunciare a qualche sponsor poco rispettoso dell’ambiente (e a qualche cachet eccessivo) e investire sui giovani (seriamente però, senza sfruttarli): a guardare le immagini del web di questi giorni, idee e motivazione non mancano…
…a patto naturalmente che Al, Greta e tutti gli amanti del pianeta proseguano la loro battaglia con coscienza, scaltrezza e attenzione (perché no: anche musicale), senza farsi abbagliare da facili slogan, senza cadere nelle ammalianti lusinghe della città di Mahagonny…