top of page

Muri musicali a scuola



Gennaio 2019


Ieri sono andato al teatro Ariosto di Reggio Emilia per il Piccolo Spazzacamino (1949) di Benjamin Britten, dove ho ritrovato con piacere gli amici e collaboratori Costanza Gallo, Niccolò Roda e Matilde Lazzaroni in uno spettacolo compatto e ben curato. Nobile e lodevole era l’obiettivo di questi lavori didattici del compositore inglese: avvicinare all’opera e alle sue strutture i ragazzi in età scolare allo scopo di affinare il loro senso artistico ed estetico, come accade per la musica orchestrale nella celebre The Young Person’s Guide to the orchestra.


Sempre al teatro Ariosto andava in scena, ormai quasi 10 anni fa, una delle repliche di Lupus in Fabula, opera partecipativa da me composta su libretto di Andrea Avantaggiato. Il tema, più che mai attuale, è incentrato sui muri fisici e mentali che rallentano pace e integrazione.

Proprio Britten fu il punto di partenza: oltre ai lavori didattici, The Turn of the Screw per struttura musicale ma anche Peter Grimes per gli aspetti sociologici.

Il lavoro vinse un concorso internazionale, fu prodotto da As.Li.Co. e pubblicato da Ricordi, ci diede la possibilità di incontrare numerosi artisti, addetti ai lavori del mondo operistico e personalità di spicco come Luca Francesconi, presidente della giuria, entrò nel circuito Opera Domani, ebbe più di 100 repliche in circa 20 teatri in Italia, Belgio, Francia, Spagna (qui un articolo e un breve trailer).


Ricordo il fervore e l’entusiasmo che caratterizzarono il periodo antecedente alla “prima” di Como: io e Andrea ci dividevamo tra conferenze, riunioni col team di regìa, prove con direttore e cast, incontri per la formazione degli insegnanti, revisioni e continui aggiustamenti affinché il nucleo tematico e il contenuto espressivo dell’opera risultassero adatti alla platea di bambini e ragazzi, senza però rinunciare alle esigenze artistiche.


Una sfida non facile: spesso nelle opere per/con bambini e ragazzi c’è la tendenza a separare la funzione didattica da quella estetica, così che - con la scusa della facile eseguibilità - i compositori di oggi si limitano a una blanda rimodulazione dei canoni dell’opera tradizionale, rinunciando a ricerca, innovazione, approfondimento; oppure, nei casi peggiori, ammiccano ai generi più in voga tra i giovanissimi con esiti ridicoli, in quanto l’opera non può certo competere in popolarità ed efficacia con trap e indie, musiche diverse che tirano in ballo differenti funzioni e contesti.


Da un lato l’opera didattica fa paura se non va incontro ai gusti dei ragazzi, dall’altro è “snobbata” dal mondo accademico perché considerata genere minore, più vicina alla musica di “consumo” che alla musica ”d’arte”: nel 1959, ai corsi estivi di Darlington, Luigi Nono si rifiutò di stringere la mano a Britten in quanto quest’ultimo rappresentava ciò di più lontano potesse esserci dai canoni avanguardistici del dopoguerra. (A. Ross, Il resto è rumore, Bompiani, p. 658)


Rispunta l’annoso problema della musica “colta”: esiste? Quali sono i suoi confini? Cosa si dovrebbe insegnare a scuola? Tutti i tipi, generi e sottogeneri di musica sono equivalenti? Ci sono diverse opinioni e correnti di pensiero a riguardo.

Ai tempi di Lupus mi capitò di leggere un articolo di Lorenzo Bianconi per un’educazione musicale incentrata sul “pluralismo” anziché sul “relativismo”. A dieci anni di distanza si è aggiornato il panorama dei generi, ma il nucleo concettuale mi sembra ancora valido: Bianconi chiama pluralismo «la pratica che programmaticamente incentiva la conoscenza delle specificità, delle diversità, delle varietà, e così facendo instilla il rispetto per le differenze di struttura, funzione, storia, portata» (p. 27), al contrario del relativismo che «esalta a parole tutte le particolarità locali, […] ma poi le annulla gettandole nell’indistinzione» (p. 29). La cultura musicale a scuola ha un disperato bisogno di pluralismo, «se non vogliamo che il relativismo imperante la soffochi, e soffocandola affoghi la coscienza dei nostri giovani concittadini nello squallore d’un consumo musicale sempre più indistinto e gracile» (p. 30).


Ma allora è giusto tenere ben separati i generi? È giusto costruire “muri”?

No, se generano pregiudizio, ignoranza e indifferenza. Si, se usati in modo non discriminatorio, per approfondire e non dividere, per valorizzare e non dimenticare.


Lupus in Fabula è un caleidoscopio di “musiche”: c’è spazio per folklorismo russo, jazz e blues, serialismo e spettralismo, arie pucciniane e modalità, poliritmia minimalista e musica etnica; ma il tutto non è mescolato in un calderone indistinto, al contrario grazie all’opera si approfondiscono linguaggio, funzioni e caratteristiche di ogni “mondo” musicale, mentre una struttura basilare originale garantisce unità e orienta la drammaturgia.


Dai tempi di Britten e Nono molte cose sono cambiate, forse anche grazie anche alla presenza “massiccia” della musica elettronica, vero “ponte” tra i più disparati generi e contesti, che rende i confini sempre più labili e che può aprire scenari insondati per l’opera del futuro.


Nel frattempo, non perdo l’abitudine di far realizzare a scuola dei cartelloni tematici, su singole opere della tradizione o su artisti e generi più amati dai ragazzi, a volte addirittura su capisaldi del Novecento bistrattati dai testi scolastici: Dallapiccola, Bartok, Schoenberg, Cage, Reich.

Tra le mille difficoltà quotidiane che caratterizzano l’ora di musica, a fianco naturalmente della partecipazione attiva nella pratica strumentale e vocale, c’è ancora spazio per favorire funzione estetica e il senso storico, per imparare che una vera e unica musica non esiste, che le musiche si distinguono in base a generi e funzioni e che, grazie ai cartelloni, i muri a scuola sono molto più colorati.


Post in evidenza
Riprova tra un po'
Quando verranno pubblicati i post, li vedrai qui.
Post recenti
Archivio
Cerca per tag
Non ci sono ancora tag.
Seguici
  • Facebook Basic Square
  • Twitter Basic Square
  • Google+ Basic Square
bottom of page