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MusiTechné


Novembre 2019


A causa di un algoritmo dei social network che ripropone insistentemente i contenuti simili, da stamattina ho sotto gli occhi alcuni interventi video del celebre filosofo Umberto Galimberti.

La memoria corre a un giorno di liceo, in cui la nostra professoressa di lettere ci parlava di un libro di Galimberti appena uscito, Psiche e Tecnhe. L’uomo nell’età della tecnica. Qui il filosofo analizza lo scenario e le implicazioni dell’ “era della tecnica” che tutt’ora viviamo, la progressiva trasformazione della tecnica da mezzo a fine e la preoccupante condizione di un individuo che rischia di ridurre la propria identità a mera funzionalità.

Il testo propone un excursus storico: nata come condizione dell’esistenza umana e quindi come espressione della sua essenza, per le dimensioni raggiunte e per l’autonomia guadagnata la tecnica esprime oggi l’astrazione e la combinazione delle ideazioni e delle azioni umane a un livello di artificialità tale che nessun uomo e nessun gruppo umano, per quanto specializzato - e forse proprio per effetto della sua specializzazione - può essere in grado di controllare nella sua totalità.


Ogni arte vive grazie alla sua tecnica specifica e nel corso dei miei studi ho imparato che non se ne può prescindere. Nella musica di ricerca del primo dopoguerra, ad esempio, l’aspetto tecnico-compositivo fu fondamentale per ricostruire da zero il linguaggio lasciandosi alle spalle le “macerie” del sistema tonale.

Ma una legittima preoccupazione può anche diventare ossessione: per alcuni la tecnica coincide col fine della composizione e scavalca motivazioni, senso profondo e funzioni della creazione.


In tempi più recenti, come afferma sempre Galimberti, si è passati da alienazione tecnologica a identificazione tecnologica, ovvero l’uomo traduce la sua alienazione nell’apparato in identificazione con l’apparato stesso. Si tratta di un cambiamento epocale in quanto, se ai tempi della “civiltà delle macchine” di Marx ci si muove ancora in un orizzonte umanistico in cui è distinta la dialettica padrone-lavoratore, nell’era attuale esistono solo le esigenze cui devono subordinarsi entrambi i soggetti, che diventano semplici predicati.


Una cosa simile è avvenuta in musica con l’avvento delle nuove tecnologie.

Superato il periodo “pionieristico” dell'elettronica sperimentale, complice lo sviluppo e la diffusione su scala planetaria di mezzi musicali elettronici e informatici, fino alle recenti conquiste di robotica e realtà aumentata, oggi sembra che nessuna arte possa fare a meno di un apporto tecnico-informatico consistente (se non determinante), tant’è che le stesse figure dell'artista e del programmatore, del compositore e del tecnico spesso si sovrappongono.


È inevitabile, perché il più delle volte la potenza del mezzo tecnologico modifica alle fondamenta la logica compositiva, sicché il pensiero musicale si assoggetta alla potenza fascinosa (e alla trascinante spettacolarità) del video e delle proiezioni in scena, dell’elettronica wireless, dell’ultimo ritrovato dell’intelligenza-musicale- artificiale. D’altronde lo stesso Galimberti attesta che “la tecnica non è neutra, perché crea un mondo con determinate caratteristiche che non possiamo evitare di abitare e, abitando, contrarre abitudini che ci trasformano ineluttabilmente.”


Da qualche tempo insegno composizione per didattica in conservatorio e confesso che la presenza del solo pianoforte in aula, certamente necessaria, è ormai riduttiva per poter simulare anche una semplice attività di improvvisazione/composizione veramente calata nella contemporaneità: i compositori più in vista del panorama attuale faticano ad usare il pianoforte “tradizionale”, in genere lo “preparano” con materiali vari, lo martellano sulle corde o lo tempestano di microfoni e trasduttori alterandone completamente la natura originaria, nei casi estremi addirittura lo distruggono.


Per fortuna il computer portatile è ormai appannaggio di tutti, ma lo studio necessario per un utilizzo consapevole dei mezzi informatici musicali è lungo e specifico e non sempre è accessibile a chi non ha una solida alfabetizzazione.

Ciò porta molti musicisti ad affidarsi alla tecnologia smart, "pronto uso", di larghissima applicazione in vari generi: consolle da dj, campionatori portatili e pad di ogni tipo hanno invaso festival e sale da concerto e si affiancano agli strumenti dell’orchestra.

A volte capita che la convivenza tra i due “mondi” sia naturale e giustificata; altre volte invece la tecnologia è usata come specchietto per le allodole e alcune composizioni lasciano trasparire la mancanza di una vera idea musicale e di una progettualità di fondo, che molti credono di sopperire affidandosi appunto alla forza mirabolante del mezzo elettronico o, nei casi peggiori, di supporti video immotivati.


Da parte mia ho scelto di affrontare direttamente la questione con Turandot.com, fiaba futuribile su dipendenza informatica e uso consapevole della tecnologia da parte delle nuove generazioni, andata in scena lo scorso settembre al Festival delle Nazioni di Città di Castello.

In quest’opera il bit, elemento primigenio dell’informatica si innesta nella struttura musicale basilare ed è profondamente integrato col tessuto strumentale e i temi dalla Turandot di Puccini.

Considerata l’importanza dell'argomento e il confronto col capolavoro pucciniano, il lavoro ha tratto beneficio dallo studio del contrappunto strumentale e vocale da un lato, dal dettaglio della programmazione informatica specifica dall'altro. Senza uno dei due elementi il risultato sarebbe stato irrispettoso della grande tradizione operistica, o viceversa povero e inattuale.

Per fortuna l’apprezzamento da parte di un pubblico trasversale e della critica specializzata ha dimostrato che il progetto ha colpito nel segno, e che una via operistica “di mezzo” nel contesto odierno di fusione e confusione dei generi è possibile e soprattutto didatticamente efficace.


Non vedo l'ora di presentare Turandot.com ai miei studenti del corso di didattica per sentire cosa ne pensano. In classe avremo bisogno di computer, console, software di programmazione e trasformazione del suono, oggetti per la preparazione degli strumenti, spartiti (meglio cartacei)...

Ah si, è meglio che in aula ci sia anche un bel pianoforte, intero.




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