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A Piano in love



Febbraio 2019


Amore e musica: qual più felice connubio? Quanti capolavori nella storia testimoniano come pietre miliari le innumerevoli sfaccettature che danno voce musicale a questo nobile sentimento! Dalle danze di corteggiamento al Lamento di Monteverdi, dal Romanticismo ai cantautori, dai Minnesanger a La Vie En Rose, dal Rinascimento ai maestri del presente.


Tempo fa andai a vedere al Teatro Comunale di Bologna Luci mie traditrici (1998), il capolavoro di Salvatore Sciarrino ispirato alla cruda vicenda del madrigalista Gesualdo da Venosa. Per me e altri presenti fu amore a prima vista; l’opera era un profluvio di passione non sbandierata: ogni afflato del sentimento amoroso era affrontato dal Maestro con l’impalpabilità di un tremolo d’armonici, l’”inconsistenza” di un soffiato o di un trillo di chiave, i silenzi pieni di sgomento.


Questo come altri lavori di Sciarrino rappresenta il superamento della tradizione di un tipo d’opera (e musica) “a tinte forti”, che sbatte in faccia in modo plateale e melodrammatico i sentimenti e che raggiunse massima popolarità a fine Ottocento, complice una certa tendenza all’esteriorità e alla grandiosità spettacolare, avallata da certa retorica celebrativa post-unitaria (cfr. F. Della Seta, Italia e Francia nell'Ottocento, Torino, EDT, 1993, pp. 277-279).

Al cambio del secolo, nonostante il rinnovamento linguistico che i compositori della “Giovine Scuola” tentarono di promulgare, nucleo costante della drammaturgia operistica rimase «la cantabilità sentimentale corrispondente ad una storia d’amore», resa tanto più sconvolgente e commovente quanto più vari e contrastanti erano gli elementi di contorno e di contesto. Si preferiva un teatro “di commozione” anziché “di miti” (Debussy, Strauss) o “di idee”, come sarà in seguito, tant’è che Giacomo Puccini, nonostante i successi, chiuse l’epoca “aurea” dell’opera lasciando incompiuta Turandot, unico protagonista “non sentimentale”. (G. Salvetti, La nascita del Novecento, Torino, EDT, 1991, pp. 249-250).


Diciamolo a cuore aperto: ogni volta che un musicista tocca corde “amorose”, volente o nolente si trova a fare i conti con la tradizione del “belcanto” italiano, o almeno con quel che ne resta.

D’altro canto (il gioco di parole è d’obbligo), lo stile fascinosissimo di Sciarrino è riferimento imprescindibile per chiunque si interessi d’opera o di musica strumentale oggi, ma è altresì inarrivabile e il rischio della brutta imitazione è sempre alle porte.


Attratto da un irresistibile desiderio di affrontare il problema “di petto”, qualche anno fa decisi di comporre il mio primo pezzo “amoroso”. Lavorai non proprio a cuor leggero e per qualche dritta sulla tecnica del flauto contemporaneo andai a trovare in conservatorio la grandissima Annamaria Morini, che purtroppo ci avrebbe lasciati poco tempo dopo e che grazie alla sua sincera passione per l’insegnamento non lesinò consigli e raccomandazioni.

Ne uscì Amoureux per flauto e pianoforte preparato (2014), in cui citavo senza mezzi termini un vero evergreen operistico: l’aria Quando me’n vo’ soletta dalla Bohème di Puccini; un pezzo “litigarello” dove passato e presente, melodia e materismo, lirismo e speculazione frequenziale si scontrano e si ricercano allo stesso tempo tra i sussulti di sistole e diastole.

Un anno dopo volai a Bangkok per il Thailand International Composer Festival, dove conobbi bravi compositori e presentai alcuni brani. Con mio grande stupore, nientemeno che il premio oscar John Corigliano si innamorò del brano (forse la tenera melodia pucciniana gli suscitava un’attrazione ancestrale, considerate le origini italiane) e lo prese a pretesto per una lezione di ascolto e percezione del senso musicale.


Fu una buona occasione per mettere in fila alcune domande: quali sono i nuovi requisiti della “cantabilità” contemporanea? In che modo fare tesoro del passato senza cadere in cliché desueti e privi della necessità espressiva che le istanze del presente reclamano a gran voce?


Forse è giusto che ogni artista “canti” (e ami) a modo suo, modellando a suo piacere le risorse di voci o strumenti, seguendo la propria concezione di lirismo, purché la sua espressione sia sincera e il suo cuore puro, scevro da banalità, compromessi e false speranze che spesso infestano il mondo musicale.

Allora generi e forme, mezzi e tecniche musicali, passato e presente perdono di importanza e la questione sale di livello: quanto ami la tua musica? Sei disposto a sfidare mode, schemi mentali, scorciatoie, piaggerie, abitudini consolidate per attestare senza mezzi termini questo amore?

Senza passione, diceva Beethoven, nulla riesce in musica, e probabilmente l’amore che aleggia in tutte le opere davvero “amorose”, da Bohème a Luci mie traditrici è della stessa sostanza: amore per la musica!








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